La revisione del processo è uno degli strumenti più importanti atti a riparare una ingiusta detenzione o un errore giudiziario. In quali casi è possibile richiederlo? E a quali condizioni? Scopriamolo assieme.
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I casi in cui è possibile richiederlo
L’articolo 630 del codice di procedura penale indica quattro casi tassativi, a cui aggiungerne uno individuato dalla Cassazione con sentenze numero 113 del 2011:
- inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della condanna con quelli di altra sentenza irrevocabile
- sopravvenuta revoca della sentenza pregiudiziale , civile o amministrativa
- sopravvenienza di prove nuove inconfutabili
- falsità in atti come la falsa testimonianza
- sussistenza di sentenza in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo accerti la violazione delle norme dell’equo processo in un iter giudiziario italiano.
Ovviamente i casi suddetti sono tassativi, ovvero non se ne possono individuare ulteriori, salvo modifiche dell’articolo di riferimento. Chi può proporre domanda di revisione? Qui è abbastanza intuitivo: o il condannato nonché un suo prossimo congiunto, il tutore o l’eventuale erede, o il procuratore generale presso la Corte d’Appello che pronunziò la condanna definitiva.
Lacuna legislativa mentre si pensa ai monopattini
È possibile richiedere il risarcimento danno per qualsiasi danno ingiusto patito nel corso del procedimento penale? Ancora no. Mentre difatti ci si impegna a discutere di leggi totalmente inutili che prevedono i monopattini in pieno lockdown, nessuno bada a formulare un disegno di legge tale da ampliare i casi di revisione del processo.
Ad oggi, in sostanza, è possibile domandarlo solo nei due casi di errore giudiziario (occorre però dolo e colpa del magistrato. Il CSM, in sostanza, potrebbe valutare la colpa del giudice come “lieve”, facendo decadere in 5 minuti la richiesta di revisione – e continuando a non trovare mezzi idonei a sanzionare chi abbia svolto erroneamente il suo lavoro, spesso caratterizzato da interpretazioni assurde e superficiali della norma) e di ingiusta detenzione (che presuppone una limitazione delle libertà personali, ad esempio per garantire le indagini, che viola i diritti dell’uomo come quello a ricercare un lavoro laddove perso).
È quindi lo strumento unico per richiedere il risarcimento danni allo Stato che, occorre ricordare, non riguarda solo il detenuto ma è trasferibile al coniuge, ai discendenti e agli affini di primo grado.